Tutta l’umana grandezza di Odisseo nell’intelligente ePOPea di Carlo Decio
Il 2020 è (stato) un annus horribilis funestato dalla pandemia e dalle pesantissime ripercussioni su scala mondiale sia livello economico che socio-sanitario. La cultura, in particolar modo il teatro, ne ha pagato uno scotto importante.
E se perfino i grandi arrancano, chissà come se la cavino quei teatri “minori” – quanto a capienza ed economie -, già prima in rocambolesco equilibrio sul friabile fondamento del sogno… Meglio, del de-siderio, che, come suggerisce l’etimo, dice privazione, sì, ma anche incontenibile pulsione a recuperare quelle stelle perdute.
Partiva da qui, l’esperienza del Festival DeSidera, che, dopo oltre tre lustri sul campo nella bergamasca, nell’autunno 2019 si è sentita di assumere la gestione di un teatro – il Teatro Oscar di via Lattanzio a Milano. “L’ennesimo teatro…”, si potrebbe pensare; eppure con la vocazione della sorellina minore, mai stanca di ricordare al fratellone, lanciato verso il sole, di non scordare gli irrinunciabili documenti di viaggio, che sono il cuore e l’anima e il senso, lo scopo e la direzione – puntualizzano Giacomo Poretti, Luca Doninelli e Gabriele Allevi timonieri di quest’avventura.
E, subito, quest’ annus horribilis, a metter i bastoni fra le ruote! I tre hanno voluto reagire, inventandosi, intanto, una stagione estiva su un’apecar. Progettata e realizzata da Andrea Colombo, è calcata, nei chiostri di Sant’Eustorgio e nei giardini della Triennale, ma anche nei cortili di case popolari o di ringhiera, da un pot-pourri di artisti: dallo stesso Giacomo Poretti (noto col solo nome di battesimo, nel trio Aldo, Giovanni e Giacomo) a Margherita Antonelli (nota al grande pubblico per le sue apparizioni a Zelig), da Angela Dematté a Federica Fracassi, da Valter Malosti o il Teatro delle Albe, ad esempio, a esperienze anche musicali e dall’appeal inclusivo e trasversale.
Fra le tante proposte (il festival proseguirà fino al 24 settembre), il 25 luglio 2020 è andato in scena Carlo Decio. Reduce dal suo “OTELLO PoP TrAgEdY”, il 9 luglio, ai chiostri di Sant’Eustorgio (noi l’avevamo visto nella rassegna d’inizio estate al Factory32), sabato scorso ha fatto irruzione sull’apecar per affabularci col riuscitissimo “Odisseo – Racconto di un’ePOPea”.
La suggestiva location è il cortile di una casa di ringhiera milanès (e popolare) forse ancora solo nell’aneddotica. Spazio curatissimo (nei dettagli della rastrelliera per le biciclette con tanto di Madonnina con lumicino sullo sfondo e panchina con nanetto sotto a piccole palme, che, in minore, sembrano alludere a quelle da qualche anno in piazza Duomo), più che altro pare l’evoluzione shabby chic, delle case di ringhiera di una volta.
A Nolo, ora, come nel quartiere Isola, prima – e, prima ancora, in zona Darsena -, certi cortili di ringhiera paiono la sublimazione di quegli spazi di convivenza non sempre facile, addomesticati in leziose immaginette dei quadretti-souvenir ancora acquistabili sui Navigli.
Di addomesticato, invece, c’è poco nel monologo di Carlo Decio. Dopo un’intro al meta teatro, inizia a raccontare, in soggettiva, i perigli del nostòs e l’umanissimo terrore-e-coraggio dell’eroe. Drammaturgicamente interessante è il continuo e coerente giocare sul senso di parole-chiave quali eroe, coraggio, paura, errore, gettare il cuore oltre l’ostacolo – capaci, all’istante, di fare, degli astanti, una comunità di esseri in grado di riconoscersi in questi topoi universali…
Ė attraverso questa partitura, tenuta e puntualmente confermata dal proseguo degli eventi narrati, che Decio riesce a farci arrivare tutta la complessa umanità di Ulisse. Eroe dal multiforme ingegno, sì, ma soprattutto quest’Odisseo (dall’etimo Odiato, dagli dèi) è di un’umanità così irriducibile, non solo da non censurarsi nessuna delle proprie – umanissime – passioni ed emozioni intra mondane (paura, desiderio, terrore, ira, curiosità, fame, sete, appetiti… e poi nostalgia, struggimento, rabbia, ribellione e, in fine, tenerissima e dirompente commozione), ma da arrivare perfino a rifiutare la divina immortalità offertagli da Calipso. E, questo, in cambio della “sola” rinuncia a partire per restare con lei per sempre. Ė in quel per sempre – “Sogno e dannazione degli amanti”, commenta la voce narrante –, la chiave di volta della tragicità della scelta umana; e quanto da vicino riecheggia, questa lusinga della ninfa, le tentazioni di Cristo nel deserto! Così il grecissimo Ulisse, sofistico emblema dell’homo-mensura di Protagora, si ammanta della bellezza e della fatica del libero arbitrio dell’homo viator, redento, ma non ipso facto salvo.
Voce delle Compagnia Marionettistica Carlo Colla e Figli e perito in Commedia dell’Arte, Carlo Decio, in una serata di grazia, sfodera tutte le sue doti mimico vocali, nel calarsi – a tratti in tempi tenuti forse un attimo meno del necessario –, nella miriade di personaggi che popolano i vividi ricordi dell’eroe. Si fa corpo, volto, espressione. Nei suoi occhi vediamo guizzare il terrore e la disperazione, il calcolo e la paura e il coraggio di chi il coraggio deve trovarlo per forza (come nell’episodio fra Scilla e Cariddi, dove non c’è altra scelta che affrontare il minore dei pericoli, pur consapevole che, in ambo i casi, ci sarà da pagare un tributo risparmiate in vite). Attraverso i suoi occhi riviviamo avventure note, ma con quella cocente tangibilità, che solo la testimonianza diretta sa restituire. Né mancano le gag, per alleggerire, specie nella finzione del dietro le quinte, durante i finti intervalli, o gli sfondamenti della quarta parete nell’ingaggiare quel gioco empatico, su cui si fonda il patto teatrale col pubblico.
L’immagine più bella? La sua ombra che giganteggia, proiettata sulla parete del palazzo alle sue spalle…
Ecco, ci piace pensare che questo sia ancora il Teatro: la potentissima arte di trasfigurare un uomo scalzo, che si esibisce sul più precario dei palcoscenici, nel medium capace di evocare umanissimi racconti, sogni, pensieri, emozioni, riflessioni e desideri, convogliandoli in un conciliante rispecchiamento. Ė solo qui, infatti, che l’antitesi io/tu può pacificarsi nella coincidentia dialettica del noi… e non è da tutti riuscire in questo miracolo, all’interno del quale, però, ieri sera, Carlo Decio ha decisamente saputo condurci per mano.