Una “La casa degli Spiriti” color rosa resistenza

Dopo il fugace debutto a ridosso del lock down dell’ottobre scorso e la data secca del 24 giugno ad Agrate, ancora un paio di repliche monzesi, il 25 e 26 giugno 2021, al Teatro Binario 7, per carburare… Poi, sarà la volta del Teatro Franco Parenti di Milano, dove “La casa degli spiriti” di Isabel Allende, riscrittura teatrale e regia di Corrado Accordino, resterà in scena dal 13 al 21 luglio. Le assi saranno ancora quelle della Sala AcomeA più volte calcate dall’attrice Silvia Giulia Mendola – come in occasione dell’interessantissimo adattamento de “Le relazioni pericolose” del 2013.

I prodromi

Corrado Accordino - Antonio Cornacchia Studio creativoIl progetto nasce dalla sinergia produttiva delle compagnie La Danza Immobile di Corrado Accordino e PianoinBilico di Silvia Giulia Mendola e dal comune amore per la letteratura sudamericana. Non è un caso quel nome. La Danza Immobile, infatti, deriva dall’omonimo testamento letterario e politico di Manuel Scorza, che la compagnia ha scelto anche di portare in scena qualche anno fa.

Pluriennale, del resto, è anche il sodalizio artistico fra i due. Molte le occasioni, che li hanno visti compagni di palco o, come in questo caso, di liason registica. Così, non appena presentatasi l’occasione per un monologo (anche se, definirlo tale, pare un po’ riduttivo), ecco che l’antico feeling non ha esitato nell’individuare in questo progetto una carta vincente.

Considerazioni preliminari

Non era semplice restituire la complessità e la poesia… la magia sospesa, sì, ma anche la durezza e violenza di un mondo rude e patriarcale come quello del Cile dai primi del ‘900, fino a restituirne la devastazione del golpe di Pinochet. Non era facile, soprattutto, farlo con un monologo, che per sua natura deve fare i conti con l’inevitabile falcidia di personaggi e, al tempo stesso, proporsi in modo comprensibile e accattivante per il largo pubblico. Del resto, la compagnia, che dal 2005 è alla direzione del Teatro Binario 7, non poteva ignorare gli ovvi vincoli di sostenibilità economica, oltre che precisi doveri d’inclusività.

L’idea drammaturgica…

Eppure la soluzione era in qualche modo implicita già nella scelta dell’attrice.

Silvia Giulia Mendola, infatti, pur avendo tutte le capacità per interpretare qualsiasi tipo di personaggio, di certo brilla per la sua spiccata femminilità. Così eccola diventare lei stessa fil rouge intergenerazionale, sussumendo in sé il ruolo delle tre donne-cardine: nonna Clara, mamma Blanca e finalmente Alba, l’io narrante di quest’adattamento – oltre che i principali personaggi maschili. Lavora su tre piani, la drammaturgia: presente narrativo (ovvero il campo di tortura), passato magico (attraverso alla rievocazione incarnata della saga familiare) e meta teatralità (sfondando la quarta parete). Supportata da una scrittura asciutta ma evocativa, capace anche di slanci poetica, la capacità interpretativa dell’attrice riesce a giocare tutte le sfumature in grado di restituirci senso e verosimiglianza, pur senza nulla togliere al modus giocoso del realismo magico e della vis affabulatoria della narrazione. Ancor più interessante, poi, è l’urgenza – esplicitata a più riprese – di rendere carne teatrale uno dei tanti romanzi custoditi su carta.

“Riscattare il passato e sopravvivere al terrore”

Questo, il mantra di Alba: se lo ripete durante le torture e se lo riconosce quale chiave salvifica (fino) alla fine. Sarà proprio seguendo il consiglio dell’amata nonna scomparsa, magica costante nelle atroci e confuse ore della tortura, che non smetterà di rievocare le presenze dei familiaria loro modo Spiriti -, impedendo alla sua mente di soccombere. Ed è, questo, un messaggio importantissimo: almeno sotto due aspetti.

In primis, ci ricorda che la memoria, lungi dall’essere semplice aneddotica romantica e consolatoria – o, almeno, a latere di questo pur reale aspetto -, è ciò che ci fornisce identità e appartenenza. Non importa se poi non sapremo farne altro uso che volgere questa tra-dizione in tradimento! Si sarà comunque trattato di un passaggio evolutivo prezioso e irrinunciabile – oltre che, spesso, di uno di quei processi d’interiorizzazione, che, a saperli ottimizzare, fungono da eccezionali scorciatoie esperienziali.

L’importanza della scrittura

LA CASA DEGLI SPIRITI | Binario 7

Secondo, poi, credo sia importantissimo – a maggior ragione, in un momento tanto critico ed epocale – un messaggio così forte sull’importanza della scrittura e, per estensione, della poesia e del teatro – se vero é che “Il teatro – come scriveva Lorca – è poesia che esce dai libri per farsi umana”. Spaventati da condizioni economiche sempre più precarie e, forse per reazione, immobilizzati in un crescente individualismo, in quanti finiremmo col capitolare di fronte alla bellezza dei nostri desideri più puri, vitali e utopistici? E cos’è, l’arte, se non appunto questa bellezza, quando sia capace di riverberarsi e diventare virtuosamente contagiosa?

Ecco perché raggelava, quel grido ripetuto, sul palco: “El pueblo unido jamás será vencido!”. Agghiacciava e non soltanto per le ben note conseguenze repressive, che la storia recente ci ha purtroppo mostrato; quel che prendeva allo stomaco era anche la vertigine di dubitare che, oggi, qui, sarebbe potuto accadere qualcosa del genere…

La soluzione registica

E se l’idea drammaturgica si gioca nel passaggio di testimonio fra le tre generazioni di donne (attraverso la memoria della nonna affidata in dono alla nipote), come si riesce a trasferire tutto questo nella tridimensionalità dell’azione scenica?

LA CASA DEGLI SPIRITI | Binario 7

In questo “La casa degli Spiriti”, la regia riesce a far accadere tutto questo, lavorando per sottrazione. In scena solo il vacuum, in cui si accendono due focus. Da un lato, la musicista, Linda Messerklinger, a sinistra, a duettare, in una dimensione solo a tratti verbale e realista, con la complessa scatola magica fatta di strumenti (inusuali e suggestivi), canzoni e musiche (di Mimosa Campironi) e, a tratti, anche con Alba. Dalla parte opposta Alba, una Silvia Giulia Mendola comprensibilmente forse ancora un poco legata al cospetto di cotanto materiale (di fatto, quella vista, era soltanto la seconda replica …). Complice l’oscurità del fondo palco, ha una verve tutta sua nello scivolare – e in senso non solo metaforico – con grinta, generosità, evocatività e bravura fuori e dentro agli abiti e umori di quei personaggi amabili, a volte, altre, deprecabili.

Precisa nella caratterizzazione, riesce a restituirceli con una vividezza contagiosa e accattivante. A tratti commuove, quella voce soffiata attraverso il suo corpo, che si fa strumento di una narrazione complessa e dalle tinte quanto mai variegate. Quasi una testimonianza.

L’importanza del Teatro

Di ritorno verso casa, riflettevo…

È vero: per me, andare a teatro non è solo fruizione emozionale della generosità o bravura di chi sta in scena o dietro alle quinte o al progetto, ma è un lavoro su più piani. È un’esperienza totale, che scaturisce dal corto circuito fra tutto ciò che vedo (e che provo) e le miriadi di sinapsi, che un singolo passaggio, una parola o intenzione sono in grado di scatenare.

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Ecco perché penso che sia ultimamente irreplicabile e, al limite, anche incomunicabile la singola esperienza teatrale. Eppure poi penso anche che sole pochissime esperienze sappiano mixare piani, sensazioni, messaggi, valori, intenti ed intenzioni in un modo così coinvolgente da creare quasi “dipendenza” (sono o no più di quattromila anni che gli uomini vanno e fanno teatro?).

A ciascuno il suo; è vero: non tutti amano il teatro… Eppure continuo a pensare che ogni spettacolo capace di smuovere tutto questo – non importa con quale consapevolezza o intensità – in fondo sia il vero motore immobile – e causa finale – di questo nostro assurdo ostinarci a pascerci di teatro e di senso, ergo, di umanità.