Dittico della leggerezza: #2 “Supermaket a modern musical tragedy”
Se vero è che il teatro storicamente nasce da una pulsione sociale (oltre che religiosa e rituale), ci sono molti modi di fare teatro politico. Saperlo fare con leggerezza resta la chiave forse più efficace per raggiungere un pubblico quanto più vasto possibile.
Del resto: per chi si fa teatro, se non per gli spettatori?
“Che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”
(Italo Calvino)
Certo poi leggerezza può avere declinazioni differenti. Può significare poesia sospesa o graffiante ironia: esempi ne sono i due spettacoli “Gorla, fermata Gorla” e “Supermarket a modern musical tragedy”, entrambi in scena fino a domenica 27 gennaio 2019, rispettivamente al Teatro della Cooperativa e al Teatro Fontana di Milano.
“Supermaket a modern musical tragedy” è uno spettacolo ironico, divertente, intelligente, sarcastico, amaro e irriverente esattamente com’è la vita. Ci affascina al grido pop di “neverending shopping” per poi, sinistro, sussurrarci: “Soddisferò tutte le tue voglie consumistiche… h24!”.
In un panorama culturale sempre più spesso affollato da monologhi – scelta di certo artistica, sì, ma chissà quanto legata anche a limiti economici e di produzione –, decidere di portare in scena un musical, per quanto low cost, è già di per sé una scelta politica. Significa comunque coinvolgere una pluralità di attori – e, spesso, anche di maestranze dalle competenze specifiche – e probabilmente pensare di sobbarcarsi tempi di prove e di produzione, che inevitabilmente, se faranno girare l’economia, nell’immediato producono costi.
Lo sa bene Gipo Gurrado (drammaturgo, qui insieme a Livia Castiglioni, oltre che regista e autore delle musiche originali), non nuovo a questo genere d’ imprese – suo è quel “Modi”, sulla biografia di Modigliani, a lungo nelle sale milanesi, a partire dal Teatro Leonardo, qualche stagione fa.
Se a questo si aggiunge la capacità di coinvolgere compagnie giovani – lì, gli Odemà, fra gli altri; qui Servomuto Teatro e Puntoteatro Studio – e di scegliere tematiche in grado non solo d’intrattenere – struggente, “Modì”, ma anche terreno di denuncia sociale, non meno di quanto lo sia, su altri fronti, questo pur divertentissimo e irriverente “Supermarket” -, allora si ottiene quel valore aggiunto sul versante politico, nonché quel prodotto suis specis che è il musical sociale e di denuncia – succedaneo, chissà, del teatro canzone alla Gaber.
Il plot è piuttosto scarno ed essenzialmente sintetizzabile nella domanda: “Quali sono le dinamiche sociali, che s’innescano in quel paradiso del consumismo, che è il supermercato?”. Interessanti e godibilissime ne risultano le mille variabili, in cui lo si declina.
Croce e delizia di ogni avventore, questo supermarket sembra essere un irriverente “l’inferno sono gli altri” . È fin troppo facile sentirsi dei malcapitati Sartre redivivo e catapultato in una qualche bolgia di dantesca memoria! Deformata nella smorfia sociale di un sorriso, l’umanità, qui, sembra abbia ceduto il passo al ben più atavico homo homini lupus – cos’è, del resto, il fare la spesa, se non la versione moderna e simbolizzata dell’ancestrale cacciare?
In platea si ride, si fraternizza e intanto ci si identifica con queste figurine dall’umanità tanto stereotipata, che è impossibile non riconoscercisi. Certo, a tratti sono così grotteschi e caricaturali da impedire un transfert reale – sortendo, invece, un brechtiano effetto di straniamento, che, in qualche modo, ci tutela. Eppure siamo noi: i nostri tic, le nostre paure, speranze, ambizioni e frustrazioni; le nostre dinamiche sempre più precarie e, ciononostante, vincolanti, che ormai ci inchiodano – tutti! – a una fatica h 24, se non ancora, tutti, a simili turni di lavoro. E cosa ci portiamo a casa? Spesso, in tutti i sensi molto meno di quanto non racimolassero i generazione1000euro.
Riprodurre tutto questo con leggerezza non è certo impresa semplice. Gipo lo fa accostando – per contrasto – musiche, in minore, dall’amarezza che ti prende allo stomaco, e le parole taglienti del milanese abbruttito. Gli attori in scena lo fanno con un’ora e mezza di performance canoro/acrobatica spesso al di sopra delle proprie competenze – sono attori, appunto, e non cantanti o ballerini navigati – eppure, proprio per questo, capace di restituirci la volonterosa inadeguatezza, che spesso (g)aleggia in questa società sempre più liquida. Sono bravissimi, gli attori: Federica Bognetti, Francesco Errico, Andrea Lietti, Roberto Marinelli, Isabella Perego, Elena Scalet, Andrea Tibaldi, Cecilia Vecchio e Carlo Zerulo, dalla generosità e giocosità encomiabile, coinvolti in stacchetti e coreografie, assoli canori ed ensembles vocali, scarti emozionali e partiture fisiche eseguite in modo sempre sincronico e coinvolgente, perché in fondo, sì: se l’inferno sono gli altri, forse è solo nello smacco della fragilità individuale, il solo punto da cui è possibile ricominciare a sperare – come in fondo lascia auspicare il Pierrot romantico, al… banco gastronomia!? Tanto per non prendersi troppo sul serio.