“Diva” di Sofie Krog ovvero la Grande Magia del Teatro di Figura a IF Festival
Dopo l’inaugurazione di sabato 19 ottobre – col dittico “Il mio compleanno” e “Talita Kum” di Riserva Canini -, venerdì 25 ottobre 2019 IF – Festival Internazionale Teatro di Immagine e Figura ha aperto le porte, al Teatro Verdi di Milano, alla prima ospitalità internazionale.
Un doppio appuntamento – venerdì 25 e sabato 26 ottobre 2019 – per gustare la meraviglia di “Diva”, di e con Sofie Krog Theatre.
Se Pirandello ci aveva introdotti ne il teatro nel teatro, quello a cui assistiamo, qui, è qualcosa di simile – mutatis mutandis. Ci troviamo come in una sorta di teatro di figura nel teatro di figura, di fronte a questo teatrino di marionette piroettante. Ad ogni giravolta, la struttura ci scopre e riscopre gli ambienti contigui, ma non comunicanti, del palcoscenico – dove si esibisce la maestria della Diva -, del retropalco – dove un maggiordomo perdutamente innamorato ma senza fortuna, si strugge per lei – e di un bizzarro laboratorio – con tanto di scienziato pazzo -, in cui si aggira pure uno stranissimo animaletto, che fa da fil rouge della narrazione.
Il plot è piuttosto semplice: Diva si esibisce, il maggiordomo si strugge, lo scienziato pazzo… pare non capirci nulla e il fantasioso bestiolino sembra farla da padrone. Sarà lui a eludere lo stordito luminare, riuscendo a distillare un filtro per far addormentare la bella – e, chissà, rapirla e farla sua. Poi, come spesso capita nella vita, le cose vanno a modo loro…
Ma quel che davvero mostra, questo straordinario spettacolo, è da ricercarsi ad un livello altro.
Quel che colpisce, infatti, è la feconda creatività della Krog, che riesce a condensare – registicamente, tecnicamente e narrativamente – le vicende in una boîte à surprise dai mille inaspettati anfratti e passaggi segreti. Ci sono tutti i colori, i sapori e gli umori delle esibizioni d’antan, in quel teatro dai pesanti velluti color porpora, dove piume e paillets ricoprivano – e, forse, celavano – chissà quali altri amori e struggimenti.
E che cos’è, il teatro, appunto, se non una Grande Magia?
È la meraviglia, che viene evocata in scena, sì, ma, non di meno, l’impalpabile curiosità per tutto quel che accade dietro alle quinte – e, in questo senso, le citazioni cinematografiche si moltiplicano. Dal cinema, inoltre, sembrano mutuati i cliché dello scienziato pazzo e del suo aiutante deforme – un simpatico bianconiglio, qui coi tratti e le movenze di un spiritello goblin. Sempre dalle pellicole del secolo scorso sembrano riaffiorare la Diva alla Gilda, nonché il suo tuttofare, impeccabile ma emozionale come il Lurch de La famiglia Addams, reso in scena da un elegante guanto immacolato a dare i giusti aplomb e candore ad una Mano.
Lo svolgimento è piacevole, ironico, scanzonato – perché il teatro di figura raramente si dimentica del privilegio di poter incuriosire i bambini.
Eppure, a pensarci, la trama è altrettanto spietata e dark quanto quella… di tutte le favole che si rispettino.
Così, accompagnati per mano in un modello narrativo appreso fin dall’infanzia – e alleggerito, qui, da quel guizzo e quell’ironia, che più spesso cavalcano la tradizione delle arti popolari dal vivo -, siamo proiettati in un universo parallelo. Stupisce la perizia della manifattura, la cura dei dettagli e l’ingegno nell’escogitare meccanismi capaci di rendere tutto così fluido e credibile, nonostante ci sia una sola – instancabile! – burattinaia/marionettista a manipolare tutto.
È la meraviglia del teatro: la consapevole accettazione di un falso per vero, indispensabile per poter essere traghettati in dimensioni di senso, a cui la censura della coscienza vigile non ci consentirebbe di arrivare, se non a costo di faticose elucubrazioni. Ecco forse perché stupisce – ma in un senso questa volta quasi disturbante – la trasformazione finale di Diva.
Cosi, mentre il pubblico applaude, forse c’è ancora spazio per quel minuscolo, ma insinuante stiletto, che ci porta inconsapevolmente a interrogarci sul senso dell’apparire, della brama di possesso dell’altro e sulla legittimità delle strategie che si pongono in essere per raggiungere i propri scopi… E sulla realtà: ché, se in certi patti volentieri accettiamo di creder vero ciò che non lo è, cosa capita, quando il gioco si svela? Come ricomporre le nostre certezze? Che forma dare – e che costrutto – alle nostre credenze, affinché il castello del dato per assodato non crolli, rovinosamente, trascinando tutto con sé?
Ma, forse, quell’epilogo voleva essere solo un coup de théâtre: e il riderne gioiosi o il lambiccarsi il cervello le due facce della medesima medaglia di coloro che amano andare a teatro.
IF Festival proseguirà, il 22 e 23 novembre, con “Joe 5” della compagnia olandese Duda Paiva, sempre al Teatro Verdi di via Pastrengo 16.