Fo/Vasini: un tributo al Mestiere del Teatro
In scena il 12 e 13 ottobre 2024 per le due sole repliche del weekend – come d’uso, al Teatro Gerolamo e in altri teatri di Milano -, “IL TEMPO DEI MIRACOLI. Giullarate da Mistero Buffo di Dario Fo e Franca Rame” si è rivelato un piccolo e prezioso tributo. Immane, l’opera del Premio Nobel Dario Fo e della compagnia di vita e di assi Franca Rame; attento, acuto e arguto, l’omaggio che ne fa La Compagnia Teatrale Fo Rame, diretto da Mattea Fo e con inscena Lucia Vasini.
Il palcoscenico ricolmo solo della eco di quel vuoto, che, a teatro, dice spazio e, sulla scena, lei, Lucia Vasini, il cui mestiere la dice lunga fin dalle primissime battute. E se l’entrée pare un po’ in minore, ben presto se ne percepisce la ragione. Una scelta precisa: quella di un tributo che più che performare alla maniera di – questo, probabilmente, meglio lasciarlo fare ai giovani e vigorosi allievi delle accademie –, sceglie di omaggiare, appunto – e raccontare, in scampoli, letti o ricordati a leggio, preziosi passaggi di vita condivisa. Riecheggiano i: “Eh, me lo diceva, la Franca…” – con quel vezzo, tutto meneghino, di anteporre l’articolo al nome proprio femminile – e si alternano all’interpretazione, tutta sua, delle giullarate – sempre argute e un po’ boccaccesche -, a restituir voce propria ai ricordi.
È così che quegli illustri connazionali ci vengono restituiti nella loro straordinaria normalità: artigiani del teatro, “eredi della tradizione dei fabulatori del Lago Maggiore (e, prima ancora dei guitti e dei cantastorie)”, racconta e profondamente umani – fatti di ricordi, a loro volta, e opinioni, e fatica, passione, emozione, commozione.
Sembra quasi una “dimenticanza” intenzionale, quindi, la scelta di omettere tutta la componente militante e politica, che li avrebbe visti in prima linea a pagar, anche sulle proprie pelli, gli esisti delle loro battaglie. Basti ricordare il terribile episodio occorso alla Rame e poi coraggiosamente da lei testimoniato nello spettacolo “Lo Stupro”, del 1981, a memoria di quell’atto punitivo subito otto anni prima. Sembra infatti, qui, che alla nipote Mattea (la regista dello spettacolo, ndr) piaccia regalarci un Dario e una Franca agli “albori” e in tutta la loro intatta, goliardica e sapientemente ironica e irriverente umanità. Era il 1969, infatti, quando Dario Fo condensava in “Mistero Buffo” quel gramelot, reinventato alla sua maniera, fondendo dialetti e prossemica, birignau e movenze da commedia dell’arte, in un pool dall’espressività esplosiva e coinvolgente.
Ed è in questo, che la Vasini omaggia – e non semplicemente imita o, meno che mai, scimmiotta – la coppia Fo/Rame, di cui parla sempre in tono prosaico, sì, ma come accompagnandolo con una tacita carezza.
Apertura un poco farraginosa e di certo non aiutata dalla scelta della giullarata d’entrée – “Adamo ed Eva scoprono il sesso”, in un teatro dall’allure bon ton e con i pochi e scelti spettatori della matinée domenicale forse un po’ spiazzati da tanta audacia “a freddo”. La settanta di minuti di spettacolo, poi, invece scivolano via come l’olio, grazie anche al mestiere della Vasini, abilissima nel volger le dimenticanze in gigionerie, ma, soprattutto, nel parlarci a fil di cuore. Immensa nell’interpretazione della Madonna sotto la croce – incip epico alla Franca, stop, e poi ripartenza di pancia, rivendicando la sua maniera, perché il vero discepolo non è chi replica il maestro e omaggiare, appunto, è far rivivere attraverso sé.
Prezioso, per tanto, quel modo suo, scanzonato, sì, ma quasi in minore, di riproporre le altre giullarate: lontano dal graffio e dalla performatività strabiliante del giullare Dario, ma assolutamente credibile e godibile in un’artista, a cui il volger delle lune ha donato padronanza e confidenza di quei talento e mestiere, che, se non si possedessero, certo non si potrebbero improvvisare.
Così, accanto alla eco – e agli irriverenti lazzi – di quei dissacranti graffi al mondo borghese per interposta celia, piccoli e preziosi cammei: i ricordi di una vita insieme, l’intervista, in cui Fo raccontava la piccola, minuta e grintosa madre Pina, gli aneddoti come quello del prevosto, che gli regalò la laude, da cui la succitata “giullarata” su una Madonna dalla straziante, dolentissima e quasi blasfema umanità. Ecco il senso della testimonianza: perché ri-cor-dare ha sempre molto a che fare col de-sidera-re – e a nulla vale il Teatro, se non a tenere uniti gli uomini attorno al laicamente “sacro” fuoco.