Il marionettista (si) diverte! Aladino e l’omaggio a Eugenio Monti Colla
In scena, come sempre, nei due periodi sabatici della stagione teatrale (festività natalizie e poi con la chiusura delle scuole), anche quest’anno è tornata al Piccolo Teatro di Milano, la Compagnia Marionettistica Carlo Colla e Figli. Dal 27 dicembre 2018 all’Epifania, infatti, il Piccolo Teatro Studio Melato è stato animato da oltre 200 marionette dalle dimensioni e fattezze quanto mai disparate e, soprattutto, dalla magia di una favola iniziatica dal sapore esotico come “La Lampada di Aladino”.
Era il 1993 quando Eugenio Monti Colla ne scriveva la drammaturgia – l’anno dopo lo spettacolo sarebbe stato al Festival dei Due Mondi di Spoleto – e c’è tutta la serena consapevolezza della maturità, in questo lavoro.
Il marionettista si diverte
Classe 1939, l’allora poco più che cinquantenne Eugenio Monti Colla, giocava con quella consapevole perizia, che è maestria e garbo, com’era nella sua indole. Al tempo stesso, la più che trentennale pratica gli consentiva di modularla con quella disarmante capacità di divertirsi – e di divertire -, cifra di un lavoro costantemente fatto con mani da artigiano e sguardo e cuore da neofita e capacità di muovere e organizzare luci, suoni, maestranze, musicisti, doppiatori e marionettisti – oltre che, ovviamente, le marionette. Né gli mancavano certo la conoscenza, frutto di una lunga frequentazione, dei classici. Alchemico distillato di tutto ciò sono lavori, la cui importanza è riconosciuta non solo dalla prestigiosa eco delle tournée internazionali, ma anche dall’affettuoso seguito di un pubblico trasversale e sempre in crescendo.
Le marionette non solo (solo) per bambini
Il primissimo equivoco da sfatare, parlando della Compagnia Marionettistica Carlo Colla e Figli, è che facciano teatro per bambini. Non lo è né per le storie – spesso riadattamenti di classici di teatro, letteratura, favolistica e perfino della lirica -, né per il modo. Certo capace di incuriosire le giovani menti e affascinarne gli occhi vivaci e carichi di meraviglia, forse ancor più sfidante si rivela allo sguardo disincantato dei plus agées in grado di coglierne anche i rimandi, le finezze e l’attenzione ai dettagli – tradizione di famiglia vuole che, già nell’ ‘800 gli occhi delle marionette venissero fatti fare a Murano e i pizzi e merletti dei loro abiti a Cantù…
Fin dal fregio. Così colpisce, ad esempio, prima ancora che la rappresentazione abbia inizio, il cammeo centrale della cornice del teatro che funge da sipario: ci occhieggia un sorridente Gerolamo, personaggio storico della compagnia – fin dai tempi, in cui era ancora compagnia di giro, nel Piemonte ante Unità d’Italia -, che diede i natali sia alla maschera Gianduja, che al nome di quel Teatro milanese precedentemente conosciuto come Teatro Fiando.
Cura della compagnia, ora come allora, poi è quella di trattare le marionette non come fossero intercambiabili comparse, ma attori veri e propri, ciascuno con una propria fisionomia e tratti somatici ben differenziati, pur nella modularità di costumi o nella moltiplicazione delle teste intercambiabili a seconda dell’emozione dominante in una scena. Cura e attenzione ancor più stupefacenti sono per quelle creature che raramente si vedono a teatro, perché diceria comune vuole che, quando ci fossero loro sul palco, ruberebbero ipso facto la scena anche alla più acclamata delle star. E lo si vede subito.
Il potere evocativo della favola
Il primo quadro, ambientato nell’antro del Mago, in qualche modo monstrum – ovvero un non del tutto essere umano, quasi a esorcizzare preventivamente la paura dei più piccoli –, è raccontato attraverso la ragnatela su cui si muove un ragno “reale”. “Reali”, del resto, sono anche la serpe, l’avvoltoio e la iena ridens, suoi amici fidati e maldestri consiglieri. Siamo già nell’incanto della favola. Le citazioni pop si sprecano – da Esopo a La Fontaine fino a Walt Disney… In questo caso, poi, si aggiungono i due geni – enormi marionette che necessitano di ben due maestri marionettisti ognuno, per essere maneggiate -, a simboleggiare le forze opposte, che – come i cavalli della biga di platonica memoria – posso dirigere o travolgere le esistenze di ciascuno.
La riscrittura di Eugenio Monti Colla…
Atmosfere fiabesche a parte, quella di Monti Colla è una riscrittura sui generis… Bypassando l’immaginario ormai condiviso che vuole Aladino e tutta la sua vicenda ambientati in Persia, questa drammaturgia mescola “Il ladro di Bagdad” con l’“Ali Bābā e i 40 ladroni” (storia de “Le mille e una notte”, che narrava di vicende “esotiche”, e quindi “a est”, già rispetto al Pasha di Persia irretito dal racconto della bella Sherazade). Si giustifica così perché Aladino & CO qui siano cinesi – ad onta dei nomi arabi e con una varietà etnica che ben si addice a un Paese grande quasi quanto un continente. Ma se la drammaturgia è tutta una trina di riferimenti, rimandi, citazioni – dagli a parte shakespeariani a quel volo di Aladino per recuperare il suo castello, che tanto ricorda quello di Astolfo sulla luna alla ricerca del senno di Orlando -, è la meravigliosa inventiva delle scenografie ricchissime di livelli in profondità, dei costumi, dei dettagli, delle luci, delle musiche (qui per la prima volta originali), delle atmosfere dalle suggestioni magiche e, soprattutto delle “trovate” – talvolta impercettibili, ma costanti e preziose – a far capitolare il fanciullino d’antan. Così, se traboccano, gli occhi bambini, nelle stanze regali o di fronte allo scintillio delle gemme preziose o, ancora, dell’inaspettato coupe de théâtre dei fuochi d’artificio, lo sguardo dell’adulto non può che capitolare di fronte alla finezza di scene di vita quotidiana, in fondo, quasi al limitar del fondale, giocate con una naturalezza ed una vivacità, che nulla scontano all’esattezza del gesto marionettistico, in tutto quel pigolar di pulcini, sfilare di guardie a cavallo, passare di carretti del mercato e di figure così minutamente disegnate da esserci, fra loro, perfino un teatrino in miniatura indossato da un imbonitore nel dì di festa.
…e il lavoro dell’intera machina scaenae
Così, più che la storia, quel che, come sempre, cattura, è la straordinaria capacità di portare in scena la tridimensionalità di figure inanimate, sì, ma proprio per questo capaci di dare forma, fiato e vita come solo nel quasi infantilistico drammaturgico patto del facciamo come se si può. Chapeau a tutta la machina fatta di uomini, prima ancora che del loro ligneo artistico medium espressivo, per due ore “in scena”: sospesi a diversi metri dal palco e in posizioni assolutamente sfidanti, sono i maestri marionettisti, i doppiatori, i tecnici e i musicisti (forse non in questo singolo caso) a dar corpo a quell’esito che arriva fluido e leggero come le favole, che ci accompagnavano per mano nel mondo dei sogni.