Impiattamento Pirandello, prova d’abilità: Latini vs Sinisi
I ben informati sanno che si possono contare, in giro per la Stivale, almeno sei illustri versioni del pirandelliano “Sei personaggi in cerca d’autore”, in questa stagione teatrale 2018/19. A poco meno di cent’anni dalla prima messa in scena – il debutto avvenne il 9 maggio 1921, al capitolino Teatro Valle – ci sono allestimenti per tutti i gusti: dai più tradizionali quali quello di Michele Placido o Luca De Fusco, via via, fino a quelli di Scimone-Sframeli, VicoQuartoMazzini, Michele Sinisi e Roberto Latini. Proprio questi ultimi due si son quasi addossati nel panorama teatrale milanese, suggerendo accattivanti suggestioni ai più curiosi.
Già, perché come si fa a leggere che dal 12 al 24 marzo 2019 al Teatro Fontana di Milano andrà in scena “Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello” – scritto esattamente così: quasi a scanso d’equivoco –, per la regia di Michele Sinisi, mentre dal 19 al 24 dello stesso mese, ma al Teatro Franco Parenti, Roberto Latini proporrà il suo “Sei. E dunque perché si fa meraviglia di noi?” e non provare il pizzicorio di volerli andare a vedere entrambi?
Detto, fatto.
In ambo i casi, però, sarà bene arrivare già preparati. La trama la si dà per scontata e, come in una prova di abilità di uno dei tanti contest gastronomici che spopolano in tv, il gioco sembra essere a chi ne sappia proporre l’impiattamento più accattivante. Mutatis mutandis, da giudicare sarà l’idea alla base della proposta, fermo restando l’indubitabile valore del testo del nisseno – e, aggiungo, l’eccellenza degli attori in scena su entrambi i palcoscenici.
Dunque il testo, anzi tutto. Il Meta teatro o, come si dice, quel teatro nel teatro inventato proprio da Pirandello, suo tentativo era quello di svelare al grande pubblico i meccanismi e le dinamiche del dietro le quinte. Qui, si trasforma in preziosa occasione per testare la straordinaria contemporaneità del pensiero di Pirandello. Già, perché se, specie nelle prima edizione, il pubblico uscì di sala gridando: “Manicomio, manicomio!”, a distanza di cento anni i sottili sofismi del drammaturgo siciliano li ritroviamo come elementi portanti di quella PNL (Programmazione Neuro Linguistica), su cui si fondano il “life coaching”, il “self-help” e il “counseling”, che tanto piede hanno preso nella New Age, a partire dagli anni ’70. Ad esempio, non possiamo non restare folgorati dalla straordinaria contemporaneità di certi pensieri a proposito della difficoltà di comunicazione, derivante dalle differenti intenzioni semantiche di mittente e ricevente. Nel lirismo del testo teatrale, poi, si ammantano della struggente amarezza esistenziale di chi forse le ha provate sulla propria pelle, messa a reagire a contatto con quella di chi aveva ben altre coordinate di senso. Quel che ne sortisce è un qualcosa di tanto costantemente doloroso, quanto non meno inevitabile e fatale. Ma la grandezza di Pirandello sta nel non ergersi ad accademico in cattedra; uomo fra gli uomini, si limita a raccontarne le miserie. Le mette in scena, qui, in una caleidoscopica strombatura, in cui il pendolo della comprensione costantemente oscilla fra realtà e finzione… fino al gesto estremo, da parte del Capo Comico, di mandare tutto al diavolo, non potendo circoscrivere in modo univoco cosa sia cosa.
Questo, in realtà, lo si vede meglio nella versione di Roberto Latini. Affidando l’oneroso carico di interpretare tutti i personaggi al solo suo portentoso alter ego – un PierGiuseppe Di Tanno, non a caso fresco fresco di Premio Ubu quale Miglior Performer under 35 -, il regista romano s’incentra sulla tranche finale della commedia – come le stessa Figliastra beffardamente non smette di chiamarla, rivolgendosi alla Bambina, che, per una fatale negligenza degli adulti, muore, annegata, novella shakespeariana Ofelia.
Inequilibrio XXI – Fortebraccio Teatro
A Inequilibrio XXI è andato in scena uno degli spettacoli più attesi di questa edizione del festival: si tratta di SEI. E DUNQUE, PERCHÉ SI FA MERAVIGLIA DI NOI? di Fortebraccio Teatro. Il dramma, scritto e diretto da Roberto Latini, decostruisce i Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello e affida il racconto a un unico attore in scena, PierGiuseppe Di Tanno. I sei personaggi pirandelliani vengono messi a nudo nella loro condizione metateatrale, nell’urgenza di esibirsi e insieme nella resistenza al palcoscenico. #inequilbrioXXI #armunia #teatro
Pubblicato da Armunia su Sabato 7 luglio 2018
Ma è tutto l’allestimento di Latini a risultare stupefacente – piaccia o non piaccia l’ormai sua consolidata cifra –, sia per la coerenza dell’idea registica, sia per la pulizia con cui è portata avanti. In scena una sorta di demone, probabilmente uno di quelli che riempiono la testa della Figliastra o – perché no? -, che ci guardano dallo specchio, come racconta il Figlio, in una smorfia irriconoscibile. La suggestione è quella dello stilita. Intrappolato, anzi incatenato – metà cane e metà Prometeo, reo, lui, di aver rubato il fuoco agli dèi per donarlo agli uomini, mentre forse la colpa di questo Spirito del Teatro, con tanto di quaresimale livida gorgiera, è più quella di aver svelato al pubblico il meccanismo del dietro le quinte e, agli uomini, l’insostenibile vacuità del tutto per bene borghese -, si agita in un claustrofobico fazzoletto di palco sospeso. Risulta al tempo stesso ieratico, istrionico e affascinante come tutte le creature del Male, abbaglianti del guizzo della sfida, ma anche meravigliosamente rilucenti di una fragilità, lasciata appena trasparire, eppure non per questo meno struggente. La coerenza sta nel non mollare la presa: non tanto e non solo rispetto al testo – meglio: a quell’ultimo atto, che diventa manifesto del pensiero pirandelliano su teatro, comunicabilità, incomunicabilità, realtà, finzione, identità, vergogna, smarrimento, smorfia, rappresentazione, accadimento, meraviglia, appunto, come recita il titolo della messa in scena di Latini, in una sorta di amplificato e spiazzante brain storming, a un certo punto proiettato direttamente sul velo d’organza che, come da copione, scherma gli accadimenti -, quanto rispetto alla performatività, che, non ci lascia mai in pace con quel registro costantemente gridato, grottesco eppur prossemicamente modulato al punto da non farci patire, neppure per un istante, la presenza del solo performer.
Se Latini scommette tutto su un solo attore, di ben altro respiro è la scelta di Sinisi. Non solo porta in scena un cast di ben undici attori (eccellenti, pur ciascuno con la propria cifra), ma ad ogni replica chiama altre Guest Star a vivacizzare il gioco dell’interpretazione nella scena in cui sono gli Attori che provano a interpretare il dramma che i Personaggi hanno raccontato loro, ma che il loro Autore non gli ha mai consentito di rappresentare – ergo sublimare/esorcizzare?
Per quanto innovativa in alcune scelte registiche – a tal punto si vuole mantenere preponderante il piano della realtà, da lasciare le luci di sala costantemente accese… chissà però se il desiderato effetto-realtà non finisca invece con congelare il transfert immedesimativo del gioco/patto scenico -, la proposta di Sinisi è decisamente più ortodossa. Ripercorre la trama dell’intera scrittura pirandelliana, pur inventandosi un gioco di didascaliche proiezioni effetto google o interazioni da diretta Facebook, che poco aggiungono, per la verità, all’attualità del testo, se non forse nel trovare un semplicistico gancio col pubblico dei più giovani. In realtà la forza di questa messa in scena non sta qui, né nell’éscamotage all’impari recensione letta all’inizio per far deflagrare gli animi degli attori fino al conflitto, né nel meraviglioso quanto gratuito gigantismo, atto a svelare l’involontario e per altro non consumato incesto del Padre con la Figliastra. Il punto di forza sta piuttosto nel farci gustare le parole e l’intera partitura pirandelliana (strepitosi, qui, il Padre Ciro Masella, la Madre ‘dolorosa’ Marisa Grimaldo e la spregiudicata e sfidante Figlia Stefania Medri) con la sua grana sottile e sottilmente amara. Ad esempio nell’introdurre – scusare? – l’umano habitus del Padre di procacciarsi donne a pagamento, ce ne sintetizza la fragile umanissima complessità nell’immagine di un uomo sulla cinquantina, non così vecchio, da poter fare a meno di una donna, non così giovane da poterla trovare tanto facilmente... E cala il tutto in una vulgata quotidiana, che se non sempre rende così immediato e semplice capire chi siano quelli in scena – gli Attori? I Personaggi? Le Guest Star, poi, come si collocano? Sono gli Attori che provano ad interpretare il dramma dei Personaggi o questi ultimi che mostrano a quelli come si deve fare? -, certo accorcia le distanze con questi sornioni teatranti, decisamente a misura d’uomo.