A cosa serve lo streaming: “Santa Samantha vs”
È ufficiale: dal 26 aprile via libera, pur con tutta una serie di indicazioni e inevitabili limitazioni, alla normale vita sociale aggregativa, ivi compresa la possibilità di tornare nei cinema e teatri.
È ufficiale, eppure le perplessità sull’effettiva ripresa restano. Non impensieriscono soltanto i costi, tempi e modi del poter tornare in scena, quanto – soprattutto – la reale disponibilità del pubblico ad accedere a luoghi ormai forse contaminati dallo spettro di mesi di lockdown e comunque di nuovo accessibili solo a fronte di patentini di comprovato vaccino o sfruculiamenti vari da test immunologici ad esito immediato.
Così, mentre lo show business corre a rimetter mano e stagioni già mille altre volte riprogrammate, aggiustate, stralciate, spostate su streaming o immaginate in strabilianti meccanismi a isolamento individuale, la vera variabile resta il pubblico. Amato o temuto, blandito o maledetto, è questa, infatti, quell’altra metà del cielo – meglio: del patto drammaturgico – senza il quale il teatro non può dirsi, né darsi. Avranno ancora voglia, gli spettatori, ormai spesso assuefatti al mood del “tutto a domicilio”, di trascinare le loro anchilosate membra fuori dal tepore confortante delle mura domestiche? Ma, soprattutto: avranno voglia di farlo per andare a teatro, nonostante le risorse economiche mediamente più rosicate e la bella stagione, che, da sempre, coi primi zefiri di maggio, li incalzava, rapendoli verso divertissement en plain d’air? Vedremo.
Intanto, ciò a cui abbiamo iniziato ad assistere, fin dal primissimo lockdown, è stato il proliferare di iniziative in streaming. Con le loro fogge e fatture più disparate e coi più variegati contenuti, hanno sistematicamente colonizzato quell’etere improvvisamente rivelatosi la sola dimensione praticabile per scongiurare la paura della damnatio memorie. Chi non ha al fin capitolato al fuoco incrociato di dirette Facebook, webinair, streaming ed eventi virtuali? Ammettiamolo, ci siamo trasferiti tutti nella normalità di mondi virtuali, in cui traslare, fra un ape e un caffè culturale, la nostra angoscia reale.
Già dalla primavera scorsa, e proprio da queste stesse pagine, si ragionava sullo streaming…
Quel che è “cambiato”, frattanto, è che “lo streaming rischia di diventare esso stesso arte […] Un nuovo prodotto artistico, che utilizza un nuovo mezzo e che richiede allo spettatore un mood particolare nell’approcciarsi”. A sostenere questa posizione è Pierluigi Di Rosa, Editore di SudPress nella consueta chiacchierata domenicale, introduttiva, questa volta, della diretta streaming di “Samantha vs” dal Teatro Biondo di Palermo. Domenica 11 aprile 2021, infatti, è stata la volta di questo spettacolo, ripensato e riscritto dallo stesso Rosario Palazzolo appositamente per questo differente strumento espressivo. Così Di Rosa ha rilanciato la provocazione di Aldo Premoli, direttore di SudStyle: a proposito dei primi esperimenti via etere del 2020, li ha definiti quali prodotti artigianali, in un primo tempo nati per assecondare il bisogno di espressione insito negli artisti, ma che poi spesso si sono via via trasformati in un prodotto artistico specifico.
E, per chi ha potuto poi vedere questa versione di “Samantha vs”, la cosa è evidentissima
Va da sé che il fatto teatrale è quello che accade nella compresenza; eppure ci sono vari modi d’intenderla e di ri-crearla, specie nell’impossibilità di una contiguità fisica – preclusa, oggi, dal lockdown, ma domani, chissà, dal persistere di limitazioni geo numeriche. Interessante è il prodotto video teatrale, che da tante parti inizia a prender piede, pur con modalità e suggestioni specifiche e spesso differenti fra loro.
Né tv, né teatro in tv
Ma, come pur rileva lo stesso Palazzolo nella chiacchierata di cui sopra, un ibrido. Dice: “non si vuole sostituire il teatro con lo streaming, ma si vuol proporre un’ibridazione, che sta a metà… che pende sicuramente più per il teatro”. E poi spiega: “La formula è proprio teatrale, gli attori recitano alla maniera teatrale, le luci sono quelle teatrali…. Non abbiamo avuto un direttore della fotografia, ma una light design teatrale, la ripresa è una ripresa teatrale nel senso che il cameramen è un personaggio della storia e non un personaggio esterno, che rappresentava con la sua telecamera quello che avveniva. Ci siamo presi questa responsabilità (anche grazie al Teatro Biondo) di aprire un dialogo nuovo con l’interlocutore “pubblico” e in maniera anche irriverente… ma credo che abbiamo il DOVERE di non stare immobili a lamentarci del fatto che il teatro non possa essere.”
“Amen”, verrebbe da chiosare, perché se vero è che “Il Teatro – come ha ben detto Steinbeck – è l’unica istituzione che sia stata in punto di morte per quattromila anni e non abbia mai capitolato.”, è altrettanto vero che “Per tenerla viva ci vuole gente ostinata e fedele”. Ostinata, appunto, oltre che fedele, dove il termine rimanda ad una tradi-zione, nella cui radice si annida quel tradimento, che nelle dinamiche evolutive è la sola azione possibile nella direzione della crescita.
La parola ai protagonisti: Filippo Luna
Lo ha detto bene anche Filippo Luna, straordinaria Carmela dell’episodio “La veglia” nella trilogia di Palazzolo: “Noi abbiamo lavorato, costruendo giorno per giorno il nostro rapporto col personaggio “telecamera” in teatro, battendo le tavole del palcoscenico, costruendo un po’ “artigianalmente” questo. È un po’ quello che racconti – il riferimento è a quanto detto poco prima da Pierluigi Di Rosa -, parlando di quegli sceneggiati lì, che erano provati come teatro, poi girati in settimane di camera… di ripresa… raccontando quale voleva essere proprio la visione, la letteratura anche del testo, della visione registica – che è proprio il modo di fare teatro. E quindi “Santa Samanta” è proprio questo tentativo. Noi abbiamo lavorato, mettendo il punto interrogativo su questo connubio fra camera e teatro, che in questi ultimi mesi ha prodotto prodotti emozionanti…ma ha prodotto tante librerie splendide… con tante poesie, che hanno anche la loro funzione e la loro validità, per carità… Ma il teatro si deve interrogare, deve crescere, deve stare al passo coi tempi COME HA SEMPRE FATTO, fin dalla sua nascita! Quindi non sta facendo niente di nuovo se non continuare a rinnovarsi”
Ecco: ecco cosa mi piacerebbe che potesse mettere fine, una volta e per tutte, a questa querelle, che inutilmente vede contrapporsi teatro e streaming – come se l’uno escludesse l’altro e viceversa.
Ritorno al futuro? La stessa grammatica degli sceneggiati
Dice bene, lo stesso Luna, quando, a proposito del modo tutto italiano di recitare, in quelli che furono i grandi sceneggiati televisivi della seconda metà del secolo scorso, esordisce: “Un’alta scuola raffinata, italiana di recitazione, fatta di tradizione e fatta di dedizione ed è questo, anche il senso di questo lavoro… La telecamera, giustamente Rosario la inserisce come altro personaggio proprio per evitare la piattezza dell’immagine – che, in alcuni casi, è meravigliosa, ci mancherebbe: ci sono degli esempi altissimi di questo… Ma in questo caso, in questi tempi di oggi, fatti di velocità, di bombardamento d’immagini, che la telecamera diventi l’ulteriore personaggio, che entra dentro e accompagna il pubblico e ti fa fruire in maniera ravvicinata di quello che è il percorso di questi personaggi, che sono nati e rimangono per il teatro, è proprio questo il senso di questa operazione: noi qui facciamo teatro.”
Pierluigi Di Rosa, infatti, aveva notato una qual certa somiglianza fra questa trascrizione per lo streaming di “Santa Samanta vs” e: gli “Sceneggiati che si facevano 50 anni fa… – che poi sono stati sostituiti dal realismo -: la correlazione nasce dai tempi classici del teatro, che voi siete riusciti a mantenere nella vostra opera – quindi quelle metriche, quelle cadenze, quelle posture… che ovviamente nei serial tv non ci sono. Un modo di fare teatro – continua –, ch’era molto televisivo, ma che aveva una regua e riusciva a trasmettere emozioni, che sono quelle del teatro e cioè della rappresentazione “in diretta”, diciamo così. E allora sì, davvero la curiosità sarebbe di: “Vedere se i nostri ragazzi – ma, più in generale, il pubblico, mi permetto di dire io -, di fronte a un’opera di questa, riescono a trarre le stesse emozioni, che abbiamo noi: nel momento in cui si trovano di fronte all’attore, che di fatto è in presa diretta, ripeto, con quelle impostazioni vocali e posturali, che sono del teatro e che non saranno mai del cinema o della televisione e che proprio in quanto tali riescono a dare dimensione a emozioni diverse.”
Già, perché poi quel che conta davvero, nell’arte, è l’emozione – e tanto più a teatro. Nato come rito collettivo, fin da subito si è orientato a quella catarsi, che altro non è se non lo scoprirsi uguali: fatti tutti della stessa frolla friabile, impastata di ambizioni e miserie. Nessuno si sofferma a sofisticare tanto sull’esattezza della performance, quando è l’emozione, quel che lo avvince; e, al tempo stesso, è altrettanto vero che per riuscire ad emozionare non basta scimmiottare qualcosa, ma occorre una ben precisa partitura fisica, vocale, di movimenti scenici e di parole – studiate, scelte, precise, che, pur non scritte, rispondano alla rigidissima grammatica dell’umano sentire.
Un nuovo modo d’interagire col personaggio
E poi: cosa ci spaventa tanto dello streaming? A me interessa di più capire cosa succeda all’attore e al personaggio, in questa nuova modalità di essere-e-non-essere in relazione col pubblico: essere sì, inevitabilmente in relazione con esso, ma in un tempo, che potrebbe anche non essere ora.
La parola ai protagonisti: Sabrina Petyx
Mi colpisce quel che dice Sabrina Petyx, ovvero Fatima, la strabordante cugina di Samantha in “Mari/age”. Distingue: “è stato davvero uno di quei casi, in cui il personaggio e l’attore viaggiavano con due pensieri molto diversi. Io da attrice dovevo dimenticarmi della telecamera, che mi mette in grande imbarazzo, mentre il personaggio era felicissimo della telecamera.” Puntualizza: “Come attrice, è chiaro che star là senza pubblico in sala… bisognava davvero inventarsi un immaginario tutto personale.” Eppure, da questa strana alchimia dissociativa, ne trae un’esperienza arricchente (per cosa, infatti, si fa teatro, se non per vivere tutte quelle vite, che probabilmente mai sarebbero le nostre?) “E’ così debordante – è così debordante, dice, ancora di Fatima –, per cui ogni cosa che pensa la deve dire, ogni cosa che prova la deve mostrare… E l’uso della telecamere istintivamente nel mio vissuto del personaggio ha enfatizzato questa cosa. Ho provato, in maniera veramente istintiva, questa cosa, che dev’essere davvero di libido, che tanti hanno nel mostrare nella telecamera le proprie emozioni. Oggettivamente, quando parlavo DENTRO alla telecamera – perché io spesso la rivolgevo a me… andavo a guardarla dentro… -, la soddisfazione del personaggio, rispetto a parlare con le persone direttamente… che comunque erano quelle 50 che io vedevo… l’idea che ci fosse questo pubblico da casa sconfinato, rispetto al personaggio, era enorme! Ed è una cosa che appartiene alla cultura di adesso, molto.”
Lo streaming che avanza…
Ho intercettato molte altre esperienze di teatro in streaming – da “È tanto che non bevo champagne” con Ferdinando Bruni e Ida Marinelli del Teatro Elfo Puccini di Milano a “Portiamo il teatro a casa tua”, pionieristica rassegna home made di Mariagrazia Innecco, che, dal salotto buono di una casa di Milano, si sta diffondendo a coinvolgere pubblici virtuali e reali teatri in tutto lo Stivale.
Non importa se il valore aggiunto sia quello di creare atmosfere suggestive e primissimi piani, capaci di farci perdere in quegli sguardi magnetici, che mai, a teatro, potrebbero ipnotizzarci così da vicino – o, al contrario, nel ricreare via web quella comunity di spettatori, che non aspettano altro che il prossimo appuntamento. In alcuni casi, l’intimità è data proprio da quel medium, che è la telecamera: la sfida, qui, non è sparire, ma apparire in quel singolarissimo girato, che non giochi a strizzar l’occhio a cinema o tv, ma sappia inventarsi un linguaggio e una grammatica propria – l’occhio del regista, il viatico dello spettatore, una figura nuova, in grado di farsi punto di vista o narratore, pur senza scalzare le già istituzionalizzate figure, chiamate a giocare il patto dello spazio vuoto. In altri casi, invece, il valore aggiunto è proprio il ricreare via etere quell’hinc-et-nunc assembleare, che è una delle ragion d’essere del fare teatro. E chi può dire quale sia la migliore?
“Ci sono più cose in cielo e in terra, Mercuzio…”, scriveva Shakespeare a proposito della molteplicità delle possibilità, che non si capisce perché mai il germogliare di questa nuova modalità debba gettar tanto nello sconforto. Forse che qualcuno ha mai detto che sarà questa, d’ora in poi, la sola strada percorribile? Forse che non sarà pensabile, post pandemia, che entrambe possano coesistere alla stessa maniera in cui, ante covid, hanno sempre convissuto teatro, performance, visual art e tutte le innumerevoli declinazioni di “fare teatro” al di là delle etichette?
Intanto, se ve lo siete perso, vi consiglio di vedere il rifacimento per lo streaming di “Santa Samantha vs”, perché è un prodotto innovativo e ben studiato, perché il testo – Palazzolo è garanzia – surreale e ben scritto, offre graffi di ironica dolce amara riflessione e perché, per ultimo, ma non ultimo, gli attori sono di quelli di una volta: capaci di dissimulare, nella leggerezza di una celia, tutta la loro sudata e ben rodata professionalità.