Un ‘petit divertissement’ sul Tempo
Ed eccoci al terzo progetto all’interno del Bando AMAPOLA R-esistenza Creativa, promosso da FE Fabbrica dell’Esperienza, che vedrà alternarsi le residenze mensili delle compagnie vincitrici e, al termine, la restituzione del lavoro sperimentato sotto forma di spettacolo.
Nello scorso week end è stata la volta di “Il tempo si è perso” di Cecilia Montomoli – pure in scena con Valentina Scattolin – e per la regia di Giulia Salis. Un progetto, ch’era stato presentato in conferenza stampa come il frutto di un’indagine/ricerca sul tempo e su come viene vissuto/gestito dalle persone – anche prima dello spettacolo, del resto, è stato somministrato un questionario per definire il tipo di rapporto con gli impegni della routine quotidiana.
Ed è proprio di questo, che si tratta: non tanto una dissertazione filosofica sul tempo – ben altri illustri accademici, del resto, ci si sono intrattenuti, nella millenaria storia del pensiero… -, quanto di un approccio ludico e divertito – ma non per questo disimpegnato – su quanto tempo abbiamo – per noi, per i nostri impegni, sogni, progetti – e quanto ne immoliamo sul sacro altare della performatività; al punto che, con efficace trovata, il tutto è stato reso come se si trattasse di un video game. La posta in gioco è – niente di meno che… – l’eternità, ovvero l’affrancamento dalla schiavitù del tempo – o, forse, degli impegni compulsivi del quotidiano. Salvo poi scoprire che, una volta raggiunto l’obbiettivo, in fondo cos’altro resta da fare? “Il tempo non lo ritroveremo mai. Non si può giocare in eterno: la vera vita è quella”: sembra essere questa, la morale di Miss Minu – la Montomoli/lancetta dei minuti: potere la velocità, tallone d’Achille la smemoratezza – e Miss Hours – la Scattolin/lancetta delle ore: potere: ordine e precisione; tallone d’Achille essere monotasking. Sono queste, le due protagoniste della folle sfida à deux nel Crazy Village, dove tutto parte da un “Insert coin” – e questo già la dice lunga sul fatto che si sta parlando di una generazione adulta: gli adolescenti di oggi non necessitano di monetine per poter accedere ai loro video giochi preferiti, per lo più: perché li hanno già a casa, nella PSP piuttosto che nell’onnipresente cellulare… – e si muove nella compulsività elicoidale, che porta a ripetere gli stessi movimenti pur nella variante del raggiungimento di un livello superiore: con tanto di bonus,penality e game over. Questo il primo – e più lungo – quadro narrativo; a cui fa da contraltare – dopo la pausa di rottura della quarta parete, con il coinvolgimento del pubblico nelle annose questioni: “Che ora è? Ma è tardi? E tardi per cosa? E tu: hai tempo? E dove lo metti, il tempo?”-, una virata più teorico/accademica. In scena il ‘Signor Eternità’/Federico Lotteri – evocato dalle due come un sommo capo che incute timore reverenziale… ma poi palesatosi in un goliardico ometto in tenuta hawaiana, che tanto ricorda il disneyano Mago Merlino nella sua celeberrima: “Honolulu, arrivo!!”. E ci parla del significato di tempo – sostantivo singolare maschile – e del tempo – forma a priori del soggetto, in qualche modo, e, comunque, distensio animi (esclusivamente umana, ovviamente:in quanto legata alla memoria), sconosciuta invece alla fisica quantistica al punto da giustificarne l’evoluzione storica da qualcosa di assoluto ad una acquisizione, per contro, di assoluta relatività.
Un petit divertissement sul tempo, in fondo, questo abbozzo di spettacolo: dove, a fronte di alcune trovate azzeccate – la scansione in due… tempi, appunto; nonché la scelta di partire da una modalità da video gioco e, comunque, di mantenere un personaggio ludicamente evocativo anche nella fase più ‘seria’ -, resta comunque l’evidenza di un incompiutezza. Perché lo spettacolo non dura più di 35 minuti, nonostante la ripetizione – pur drammaturgicamente prevista – delle azioni sceniche della routine quotidiana. Azioni sceniche e regia pur coerenti, intendiamoci – la scelta di pochi ed essenziali oggetti/azioni, ma ben rappresentativi di quel dato contesto lavorativo… l’optare per un total white, che ha fatto buon gioco nel momento in cui gli si sono sovra scritte le luci… quel tempo scardinato di shakespereana memoria, una volta conseguito il risultato dell’eternità, reso attraverso la camminata in controsenso delle lancette, lungo la circonferenza del tempo… -, ma che certo avrebbero ancora molto da dire, probabilmente. Forse il solo dubbio è che ci sia stato uno slittamento semantico: cosa s’intende, di fatto, quando si dice eternità? Di fatto ci vien rappresentata come una vacanza: che se in qualche modo dice vacatio – nel senso etimologico di: ‘mancanza di (impegni)’ – non viene confermata nell’accezione forte di otium – cioé studio, ricerca… -, ma sbrigativamente condita via come un gran carnevale – non a caso: quei palloncini e stelle filanti. E, allora, non fa meraviglia che un’eternità così faccia rimpiangere la routine! Ma, forse, c’è una terza via…